L'Argomedonte: Capitolo IV

 


L’ARGOMEDONTE

IV.

 

Scattarono alcune foto con il teleobiettivo e il tutto fu mandato immediatamente al Dipartimento di Paleontologia. Lì le foto e l’altro materiale furono analizzati tra lo sgomento generale e fu subito chiamato il Rettore. Questi guardò il materiale, ascoltò le spiegazioni degli esperti e alla fine mormorò con fatica: “Aveva ragione lui”.

 

Mentre si metteva in moto la complicatissima procedura per la cattura dell’Argomedonte, tutto il corpo accademico dell’Università si interrogava su come riparare al torto fatto al professore, a mesi di sfottò e derisioni, al fatto di avere screditato uno dei più grandi scienziati del mondo. Qualcuno addirittura avanzò l’ipotesi di proporne la candidatura al Premio Nobel, più che altro per pulirsi la coscienza.

Nel frattempo, De Ascentis, mentre procedevano le attività per la cattura del bestione, pregustava il suo ritorno a Milano. Immaginava le facce di coloro che lo avevano deriso, le frasi di circostanza e i falsi encomi che gli sarebbero stati rivolti. Riprese in mano il suo libro e cominciò a guardarlo sotto un’altra prospettiva, immaginando che Laughensis potesse essere, per esempio, l’acronimo di una frase che riguardava l’Argomedonte e, dopo avere meditato un po’, azzardò:

Lacerta

Argomedon

Ubi

Glacies

Habitat

Et

Nemo

Scit

Ingentem

Speciem.

Il lucertolone Argomedonte vive dove c’è il ghiaccio e nessuno conosce il suo imponente aspetto”.

Il latino era disastroso ma, secondo il professore, ci poteva stare, poteva essere verosimile: ormai, dopo la scoperta dell’animale era disposto a non stupirsi più di nulla.

Finalmente, adottando tutte le più moderne e costose procedure, il bestione fu catturato, imbragato e caricato, non senza mille difficoltà, sulla Alfdis, che salpò, con tutta la spedizione, per il porto di Akureyzi, dove un elicottero cargo l’avrebbe trasportato nei laboratori dell’Università, debitamente attrezzati per accogliere l’insolito ospite.

 

De Ascentis non riusciva più a sostenere la tensione: la dottoressa Baldi gli allungò per l’ennesima volta la fiaschetta del whisky.

Entrò ancora nell’hangar della nave per controllare la sua creatura. La bestia era là, incatenata e tranquilla. Le catene erano grosse e robuste: nessuno poteva valutare al momento quale potesse essere la forza dell’animale. Il respiro pesante ammorbava l’aria di un sentore greve e quasi irrespirabile di rettile.

Il professore si avvicinò tentando una debole carezza al suo gioiello, al coronamento della sua vita di scienziato e ricercatore.

Fu un attimo: l’Argomedonte emise un ansimo profondo, un rantolo sinistro mai sentito prima sulla faccia della terra, e si accasciò, morto, sul pavimento.

De Ascentis sentì come un brivido, come se la morte l’avesse sfiorato, e si ritrovò improvvisamente invaso da un essere che non era lui.

Sconbussolato, uscì dall’hangar e salì sulla banchina: gli occhi di ghiaccio, le pupille verticali. Ad attenderlo c’era la dottoressa Baldi: lui la guardò con uno sguardo assente e gelido e mormorò: “ L’Argomedonte  è morto”

Valeria ebbe un sussulto, si guardò intorno disperata in cerca di aiuto e, non sapendo che altro fare, allungò al professore la fiaschetta del whisky. De Ascentis la guardò con occhi gelidi da rettile e disse: “Che me ne faccio?”

4. Continua ...


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