No alla Legge Finanziaria!

 


NO alla Legge Finanziaria!

 

“NO alla Legge Finanziaria!”.

Lo striscione, lungo circa dieci metri, mi accoglie al mattino all’arrivo in stazione, srotolato lungo il marciapiede di attesa del mio treno.

“Ostia! – penso – oggi a Venezia c’è la manifestazione contro la Legge Finanziaria del Governo”.

Decine di manifestanti sono raggruppati in capannelli lungo tutto il marciapiede, brandendo bandiere con le insegne sindacali. Naturalmente, non è pensabile che abbiano prenotato un treno riservato, né è ancor meno immaginabile che le Ferrovie dello Stato abbiano previsto l’aggiunta di qualche vagone al convoglio. Sul treno che normalmente parte ogni mattina strapieno, saliranno oggi almeno duecento persone in più.

Penso: ”Prendo il treno dopo”, ma non posso: ho una riunione di prima mattina e non posso fare tardi. Quindi  … si va: à la guerre comme à la guerre.

La lotta sarà dura: questa è gente tosta, avvezza a prendere per il bavero assessori e onorevoli, formata da lunghe lotte per un posto di lavoro, figuriamoci per un posto a sedere.

Lo scontro sarà aperto ma leale, il rispetto tra i due gruppi di lavoratori è reciproco e ognuno riconosce che l’altro, in questo momento, sta esercitando un proprio sacrosanto diritto.

Alcuni ferrovieri, con piglio da kapò di un convoglio di deportati, cercano di distribuire i manifestanti su tutta la lunghezza del binario, con scarso successo.

Con incedere lento mi piazzo a gambe larghe sul mio solito posto di assalto, all’altezza di dove sosterà il penultimo vagone.

Ma ecco che al mio fianco arriva un vecchio militante CISL, un’enorme bandiera in mano: mi guarda, il suo volto ha una piega amara, come Lee Van Cleef ne “Il buono, il brutto, il cattivo”. Gli altoparlanti diffondono musiche di Morricone.

Alcuni pendolari sciolgono i muscoli e fanno stretching, la tensione è alta.

Ecco che viene annunciato il treno, e un fischio lontano lacera l’aria: all’orizzonte il finestrino del locomotore in arrivo riflette un raggio del sole basso del mattino.

I manifestanti alzano le loro insegne sindacali che garriscono al vento. Il treno arriva, dagli altoparlanti escono suoni di buccine, tamburi e pifferi, le loro bandiere si fanno lance, le nostre ventiquattrore si fanno scudi.

Il treno si ferma con un ultimo ronfo, le porte si aprono con un sospiro: si va, inizia il nostro sbarco in Normandia.

E’ una battaglia dura, silenziosa. Noi la tecnica, loro la forza, noi giochiamo in casa, loro in trasferta: applicano il contropiede. I componenti delle due fazioni si organizzano in piccoli gruppi come carriarmatini del Risiko, alla conquista della Jacuzia di un posto a sedere. Ogni tanto il silenzio è rotto da qualche grido lontano, come al fronte la richiesta dei barellieri: “Toni, curi, ghe se do posti qua!”.

 E’ una partita fatta di indugi e repentini scatti, di accerchiamenti e assalti, di attese tattiche e di azioni di dissuasione psicologica, di scontri frontali e di fraternizzazioni: sono veroniche e pasos doble, slalom e cristiania, è Achab contro Moby Dick, è All Blacks vs. Wallabies, è il clasico Barcelona – Real Madrid, è Muhammad Alì vs. Joe Frazier.

Dopo qualche minuto, la situazione si va normalizzando: possiamo valutare chi ha vinto: nel mio vagone direi che abbiamo un leggero vantaggio noi. Io, con un velocissimo e scorrettissimo scatto (se ci fosse stato un arbitro mi sarei beccato come minimo un cartellino giallo) ho dribblato un giovane operaio dell’Alpina e ho conquistato così il mio posto a sedere e mi posso guardare attorno.

Un gruppo di delegati UIL, rimasti bloccati in piedi al centro del corridoio, stanno trattando la resa, con le bandiere ammainate, con quattro dipendenti ENEL placidamente stravaccati sui sedili.

Sul posto al mio fianco c’è il mio amico Paolo. Non avevo dubbi: trentacinque anni di pendolare, si muove tra vagoni e sedili come un alligatore nella palude australe.

Su uno dei sedili di fronte a me una donna, che nella foga della battaglia mi era sembrata Claudia Cardinale ne “C’era una volta il West”, risulta essere un’operaia della Electrolux sulla cinquantina, la pelle e lo sguardo induriti da anni di fabbrica.

Sull’altro sedile, un anziano sindacalista CGIL apre soddisfatto l’Unità. I nostri sguardi si incrociano, ci sorridiamo. La partita è finita, ci scambiamo le maglie: ”Alla prossima!”.




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Commenti

  1. L'avventura della vita quotidiana...

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  2. Solamente chi ha vissuto personalmente questi episodi può descriverli alla perfezione...ahimè. Valentina

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  3. Bel racconto, d'altri tempi ma con la vivezza dell'oggi.

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  4. Bellissimo il ritratto di Paolo

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