Solo per una sera

 












Solo per una sera

 

A mio nonno Carlo lavorare i campi non piaceva.

Per lui, un bell’uomo alto, dritto come un fuso, la terra era troppo bassa, troppo lontana dai suoi occhi chiari sempre intenti a guardare il mondo un po’ più in là.

E così si era messo a fare lo zoccolaio, lasciando che fosse la moglie ad arrabattarsi tra il lavoro in risaia e i quattro figli venuti al mondo in serie e smaniosi di masticare pane e vita.

Gli piaceva vagare tra i pioppeti che presidiavano come sentinelle le sterminate risaie che circondavano il suo paese, scegliendo attentamente i fusti più adatti a trasformarsi in zoccoli tra le sue mani esperte. Il pioppo era il legno migliore, resistente ma duttile, facile da lavorare, docile nel farsi forgiare da scalpelli e raspe.

Dalla corteccia dei tronchi valutava l’età della pianta, batteva con le nocche sul legno, per capire se l’albero fosse sano e robusto.

Con l’occasione, a seconda della stagione, approfittava per raccogliere qualche fungo o catturare qualche rana.

Quando aveva trovato il tronco giusto, lo abbatteva con pochi, precisi colpi di accetta, lo sezionava e lo portava a casa su un piccolo carretto.

Qui si compiva il miracolo: a poco a poco lo zoccolo prendeva forma e dopo pochi colpi di scalpello si materializzava tra le mani callose di Carlo, come se fosse sempre esistito nascosto tra le fibre del legno e avesse atteso a lungo, impaziente, di venire alla vita.

Spesso i bambini del paese si radunavano per assistere al miracolo, subissando l’uomo con richieste di spade, fucili, fionde ed eliche di aeroplano.

Ma Carlo era troppo bravo nel suo mestiere: i suoi zoccoli duravano praticamente in eterno e raramente qualcuno tornava a chiederne un paio di nuovi: piuttosto ci si arrangiava con due chiodi e un po’ di paglia.

Così di lavoro ce n’era era sempre di meno e lui, disoccupato, passava sempre più le giornate all’osteria, dissipando quotidianamente i pochi denari che riusciva a guadagnare, finché la moglie, rassegnata, quasi ogni sera andava a prenderlo per riportarlo a casa.

Però, prima di recarsi come ogni giorno al bar, egli prendeva un paio di monete e le riponeva in una piccola scatola di legno che teneva nascosta nel cassetto di un comò.

Carlo era convinto che nessuno sapesse di questo suo grande segreto. In realtà tutti in famiglia erano a conoscenza dell’esistenza del piccolo tesoro, ma nessuno si sarebbe mai sognato di andare a curiosare.

Così, durante l’anno, i bicchieri di vino aumentavano sempre di più mentre diminuivano gli zoccoli, ma il gruzzoletto nella cassettina diventava sempre più consistente e lo sguardo di Carlo cominciava a uscire dal suo consueto annebbiamento per diventare sempre più ardente.

Intanto, si avvicinava il grande giorno.

La moglie era già preparata e cominciava per tempo a pulire e rammendare il vestito buono di Carlo, quello con cui si era sposato e aveva assistito al battesimo dei suoi figli.

Lui andava di nascosto al cassetto del comò, ricontava per l’ennesima volta i soldi e sorrideva.

Infine, si recava in città per prenotare la macchina con l’autista, e questo era un avvenimento, perché nessuno dei contadini del paese si era mai spinto a tanto: e per fare che, poi?

Il giorno stabilito, Carlo si faceva il bagno nella tinozza davanti alla stufa a legna, si sbarbava con cura, mentre la moglie gli regolava i capelli. La vestizione dell’abito buono era una sorta di investitura papale e i bambini lo guardavano a bocca aperta: mai avevano visto il papà così bello.

Il giorno prima non andava all’osteria e i suoi begli occhi chiari brillavano di una luce diversa.

Con una cerimonia semplice ma solenne trasferiva il denaro dalla scatola a un vecchio ed elegante borsellino di pelle: i soldi sarebbero serviti per pagare l’autista e, soprattutto, il biglietto.

A questo punto, dopo avere salutato con gesti ecumenici tutta la famiglia, si piazzava sulla stradina polverosa di fronte a casa, in attesa.

I vicini osservavano un po’ ammirati, un po’ sgomenti, quel bell’uomo elegante ritto sul bordo della strada nel quale era impossibile riconoscere il Carlo, lo zoccolaio senza lavoro che era sempre all’osteria.

Finalmente l’auto arrivava, nera e lucida, e l’autista in divisa di ordinanza scendeva per far salire il cliente. Dopodiché ripartiva sferragliando e sgasando sotto gli occhi attoniti della via.

Il viaggio non era lungo, una cinquantina di chilometri. Carlo si guardava felice intorno e si godeva il paesaggio che pian piano lasciava la campagna e le risaie per far posto a sempre più case, strade e auto. Anche i vestiti delle persone cambiavano, passando da abiti di campagna a ben più eleganti abiti da città.

Finalmente, ormai all’imbrunire, si arrivava a destinazione: Milano, via Filodrammatici.

Carlo scendeva, pagava l’autista lasciando anche una piccola mancia (non era mai stato tirchio, anzi…), e si gustava il riverente “Grazie signore!” che ne riceveva in cambio.

Poi si sedeva su una panchina a rimirare l’imponente edificio che si ergeva davanti a lui: il Teatro alla Scala, aspettando che gli venisse il coraggio per entrare. Intanto si immaginava tutto quello che lo stava aspettando: la bella ragazza alla cassa per acquistare il biglietto di loggione, la maschera che gli indicava la via, anche se non ce n’era bisogno, i capannelli dei ricchi all’ingresso riservato ai posti più costosi, con le signore in lungo e gli uomini in smoking, i palchi luccicanti di gioielli e diademi.

Finalmente, con un grande sospiro e un’emozione che gli strozzava la gola, raccogliendo tutte le sue energie si alzava dalla panchina, si avviava con passo lento e solenne verso il palazzo e, un po’ titubante, varcava la soglia di quel Paradiso, dove per una volta all’anno, solo per una sera, la Tebaldi sarebbe stata Madama Butterfly, solo per lui.





Per favore, quando scrivi un commento, se puoi lascia il tuo nome o anche un nickname. Grazie

Commenti

  1. Mi è molto piaciuta la descrizione di questa persona per la semplicità e l' amore verso la lirica. La Tebaldi è stata una grande soprano me la ricordo bene.
    Permettimi di correggere un errore di battitura. Davanti a occhi l' aggettivo è begli e non bei.
    Grazie per trasmettere l' esperienza interessante di una vita d'altri tempi.

    RispondiElimina

Posta un commento

I più visti

No alla Legge Finanziaria!

Itaca 1943

Presentazione

Altrove

La scolaresca in gita