La signora che deve andare a Padova

 

La signora che deve andare a Padova

 

La signora che deve andare a Padova la potete facilmente trovare sul marciapiede numero 2 della stazione di Mestre, ben piazzata sotto al display elettronico che indica chiaramente che il treno in arrivo su quel binario è diretto a Udine.

E’ generalmente una signora di poco più di settant’anni: le mani sciupate testimoniano la fatica del lavoro domestico, gli occhiali spessi tradiscono le molte ore passate all’uncinetto o a guardare Pippo Baudo un tempo, Maria De Filippi oggi.

La signora è dotata di svariate borse di plastica, piene di paccottiglie varie, e spesso di un ingombrante mazzo di fiori da portare all’amica, o in cimitero.

La signora che deve andare a Padova applica in modo rigoroso il motto di Vittorio Alfieri “Volli, sempre volli, fortissimamente volli” e, nel suo caso, ella fortissimamente vuole che il treno in arrivo sul binario 2 vada a Padova.

Ecco dunque che comincia a guardarsi in giro, in cerca della preda cui chiedere informazioni. Gli altri viaggiatori la conoscono bene e cominciano a guardare per aria, a immergersi nella lettura del giornale  o dei cartelloni pubblicitari, evitando in tutti i modi di incrociare lo sguardo della signora, per non essere invischiati nell’ormai noto rito della richiesta di informazioni.

La prima vittima della signora, comunque, è sempre il ragazzo che sta raccogliendo i mozziconi di sigaretta e le cartacce sul marciapiede, in quanto rappresenta il più vicino e il più accessibile rappresentante della gerarchia ferroviaria.

La signora quindi lo aggancia, e con forte accento padovano chiede: ”Scusi, va a Padova questo treno?”. Il ragazzo, gentilmente risponde: ”No signora, va a Udine”.

Il viso della nostra diventa terreo. Si vede che sta pensando “Che maleducato!”. Senza ringraziare si gira dall’altra parte in cerca di un’altra preda.

E’ che la signora vuole fermamente che il treno che sta per arrivare vada a Padova, per vari motivi:

1)   perché le sembra che l’altra volta, due anni fa, il treno per Padova l’avesse preso proprio su quel binario;

2)   perché il raggiungimento del binario su cui transita il suo treno viene da lei considerato un diritto acquisito, ottenuto con fatica e sfidando l’incomprensibilità delle indicazioni dei tabelloni: dopo tanta fatica, quel treno deve per forza andare a Padova;

3)     perché è impensabile dovere rimettere in discussione tutto il lavoro fatto per avere la certezza di essere sul binario giusto, e affrontare una nuova faticosa ricerca.

Di conseguenza, la signora si mette alla ricerca di qualcuno che le dica che quel treno va a Padova, e non si dà pace finché non l’ha trovato.

Comincia quindi a interrogare, sempre più cupa e impaziente, tutte le persone che sostano sul marciapiede, ricevendo da tutti la stessa imbarazzata risposta negativa.

La signora sta ormai facendo le sue considerazioni su quanti mascalzoni si incontrino viaggiando, quando, come ultima risorsa, inquadra un giovane venditore ambulante senegalese che sta riordinando i suoi sacchi di cianfrusaglie. Gli si avvicina e per l’ennesima volta chiede: ”Scusi, va a Padova questo treno?”. Il giovane extracomunitario, che conosce in tutto quindici parole di italiano, la guarda sorpreso e, un po’ per cortesia e un po’ perché non si sa mai, annuisce.

La signora si apre in un sorriso radioso, ringraziando calorosamente: nel frattempo il treno arriva: la signora, soddisfatta, vi sale pensando che in fin dei conti questi extracomunitari non sono poi quei delinquenti di cui si dice in giro e, finalmente riappacificata col mondo, parte alla volta di Udine.

Padova ha perso così una sua emerita cittadina, ma la causa dell’integrazione e della tolleranza tra i popoli ha guadagnato una nuova sostenitrice.


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