La scolaresca in gita


 La scolaresca in gita

 

Di certo l’incontro più temuto da parte del pendolare è quello della scolaresca in gita di istruzione: un po’ come per una foca imbattersi nell’orca assassina.

La scolaresca in gita è un organismo proteiforme che ha subito profondi mutamenti genetici nel corso del tempo.

Negli anni ’70 – ’80 era costituita da una garrula voliera di bimbi vocianti che, appena giunti alla stazione ferroviaria, sciamavano allegramente ovunque occupando ogni angolo disponibile, traversine comprese. Erano per lo più accompagnati da un paio di insegnanti scarmigliate, paonazze, devastate da enormi aloni ascellari e totalmente rauche per il gran gridare già alle sette e mezzo di mattina. Raramente v’era anche un accompagnatore maschio, che però il più delle volte si asserragliava nel bar della stazione con il pretesto di giocare la schedina.

Le scolaresche di oggi sono formate da plotoncini di bimbi inquadrati in testuggini macedoni, capitanati da elegantissime insegnanti che hanno seguito master per addestratori di marines. Ogni bimbo ostenta un cartellino di riconoscimento con la stessa alterigia di un delegato ONU, il vociare è sommesso, molti sono assorti con il loro telefonino.

Anche lo scopo della gita è profondamente cambiato negli anni: una volta si andava a Riese Pio X a visitare la casa natale del Papa, oggi i bimbi si recano nei parchi scientifici a spiegare ai ricercatori il proprio punto di vista sull’uso etico delle nanotecnologie.

Una costante resta comunque la stessa: sul marciapiede si crea attorno ai fanciulli un enorme vuoto e il nervosismo degli altri viaggiatori è palese: per nessuna ragione al mondo un pendolare si siederebbe spontaneamente in un vagone invaso da una scolaresca.

Il treno arriva, il vociare si fa più alto e, a un deciso cenno delle insegnanti-sergenti, la testuggine avanza come un sol uomo verso il vagone a essa riservato, travolgendo tutto quello che le si para davanti.

Non c’è nulla di più toccante dell’espressione di disperazione che appare sul volto di quei pendolari che vedono fermarsi davanti al proprio naso il temutissimo vagone con i biglietti “Riservato per comitive” appiccicati al finestrino.

Si tenta di fuggire, ma si è travolti dall’orda adolescenziale e si è costretti a salire con essa. A questo punto, quando il pendolare si trova, suo malgrado, in piedi nel vagone, tutti i bimbi si mettono a strillare: “Via, via , è riservato per noi !” e l’insegnante - sergente invita, con la cortesia di un addetto alla sorveglianza della Casa Bianca, il malcapitato ad allontanarsi.

Così, i pochi pendolari caduti nella trappola sono costretti ad ammucchiarsi in piedi a ridosso dei cessi, espropriati dei loro posti che ritenevano di avere ormai acquisito per usucapione, umiliati e derisi.

Naturalmente, il 75%  dei posti disponibili resta libero perché i bimbi non stanno seduti e continuano ad andare avanti e indietro per il corridoio urlando irritanti: “Permesso!” e pestando innumerevoli piedi.

Una scolaresca media ha la voracità di un termitaio della foresta amazzonica e, cinque minuti dopo la partenza del treno, tutto il cibo contenuto negli zainetti, e che doveva durare per l’intera giornata, è stato divorato, e i resti di merendine, lattine, panini e frutta rotolano allegramente sul pavimento.

In rarissimi e fortunatissimi casi i bimbi scendono a Treviso e, con un sospiro di sollievo, nel silenzio ristabilito, riprendiamo i nostri posti usurpati, sedendoci, finalmente rilassati e ignari, su una fetta di prosciutto abbandonata sul sedile dal nostro futuro.


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Commenti

  1. Descrizione perfettamente reale. Ho vissuto questa situazione sia in treno che in autobus. In autobus linea urbana fino a fine corsa: Venezia Piazzale Roma. Discesa con mal di testa garantito a tutti esclusi i gitanti.

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