Italia - Francia
2 luglio 2000, Stadion
Feijenord di Rotterdam: Italia - Francia,
finale dei campionati europei di calcio.
Ecco cosa accadde quella sera…
L’Italia ha perso.
La cosa, fino a un mese fa, non avrebbe fatto notizia.
Oggi, invece, il monsone della s confitta scende da
Rotterdam, valica le Alpi e ammanta la
nazione di nubi, inuminendola di lacrime, bagnando il paese come le piogge di Rancipur.
E, tuttavia, nel lutto le famiglie si ritrovano.
E’ il tredicesimo del primo tempo supplementare, intorno
alle 10 di sera: Trezeguet segna il golden goal per i francesi: l’Italia
ha perso.
La vedova del piano di sopra, pervicacemente sintonizzata su
Papi per vedere se riuscirà, almeno questa sera, ad aggiudicare il montepremi
di oltre un miliardo di lire al campione di turno, per un attimo cambia canale.
Le mogli, che durante tutto il tempo della partita ( e di
quelle che la hanno preceduta), sono rimaste ostinatamente asserragliate in
cucina a lucidare polemicamente all’infinito la medesima pentola, ripongono lo
strofinaccio e si avviano verso il salotto, così come, nei paesi, al rintocco
delle campane da morto la gente interrompe per un momento le proprie faccende e
alza gli occhi verso il campanile.
L’incedere è lento, esitante, ciabattato, come per non
disturbare il dolore che si percepisce al di là della porta che immette alla
stanza della TV.
Il primo sguardo è per lui, il marito, impietrito sul
divano, improvvisamente ritornato consueto e conosciuto, non più satiro ,
sacerdote irriconoscibile in canottiera e sudato di un’orgia tribale berciante
e odorosa di birra e affettati, di vino e di anguria, incomprensibile e a loro
invisa, che ha accompagnato le ultime vittorie della nazionale.
Uomini forti, determinati nel loro lavoro e nelle loro
faccende quotidiane, appaiono inermi, disarmanti nella loro fragilità, così
come quando, ragazzi, li hanno conosciuti e se ne sono innamorate.
Sul video, loro: i calciatori in lacrime. La mesta litania
borbottata da Pizzul acuisce la tristezza e, con naturalezza, monta il
desiderio di essere lì, a portare una tazza di latte caldo a quei poveri figli
disperati, ad arruffargli i capelli belli e sudati, ad aprire il rubinetto
della vasca de bagno buono, quello che non si usa mai, per preparare loro un
tiepido conforto che lavi via la stanchezza e il dolore.
E gli uomini si riscoprono padri, e vorrebbero poter dare un
affettuoso scappellotto sulle nuche di quei fragili figli putativi, fino a ieri
bollati come ricchi e viziati, scossi dai singhiozzi e dire loro: “Dai, che sei
stato in gamba!”
Le mogli abbozzano una battuta, ma subito capiscono vhe
l’ironia e il sarcasmo non hanno albergo in quella stanza, che il dolore è
piccolo, ma profondo.
E così, donne abituate per antica consuetudine a percepire e
governare il dolore, si accoccolano al fianco dei loro uomini finalmente
ritrovati, e cingono loro il braccio intorno alle spalle, con una tenerezza che
pareva ormai dimenticata, complici ignare e un po’ incoscienti.
Appoggiano la testa sulla spalla di lui e, finalmente
riappacificate con il loro uomo e con il calcio, guardano in TV Albertini
disperato, in lacrime, e mormorano:” Guarda Del Piero, poverino, come piange!”.
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