Altrove

19 marzo 2022: Festa del papà

A mio padre


Altrove

 

Ecco, sono arrivato.

Scendo dall’auto e strizzo gli occhi al sole accecante che mi accoglie.

Ceretto, 184 abitanti circondati dalla pianura piatta della Lomellina, tra Po e Ticino: dovrò fermarmi qui per qualche giorno per sbrigare alcune faccende relative alla morte di mio padre, che qui è nato.

Un cane arriva trotterellando, mi annusa coscienziosamente e se ne va soddisfatto: tutto a posto, passaporto in ordine.

Prendo il cellulare per avvisare a casa che sono arrivato, ma quell’oggetto appare subito fuori posto qui: lo ripongo in tasca.

Il silenzio è fragoroso, solo le cicale segnano il tempo con una tempesta di frinii. Il vento mi porta il fruscio delle spighe delle risaie e delle foglie dei pioppeti.

Cammino sull’acciottolato della piazza: di fronte a me il negozio del barbiere, con la spirale bianca, rossa e blu e le corde di plastica colorate appese all’ingresso a proteggere il locale dalla canicola.

Una vecchietta nel suo abito nero a fiorellini bianchi con il fazzoletto in testa è seduta fuori dall’uscio di casa intenta a pulire delle rane. Mi saluta nel suo dialetto che è una nenia per bimbi, dolcissimo e incomprensibile.

Non posso non notare il contrasto tra la dolcezza della vecchina e la crudeltà spiccia con cui decapita e scuoia le rane, con gesti decisi e antichi. Del resto, rane e zanzare sono le piccole compagne di vita di questi luoghi.

Un geco immobile sulla parete osserva attento la scena, ringraziando in cuor suo il buon Dio per non essere nato rana.

Entro nel bar affacciato sulla piazza: l’oste mi accoglie con un sorriso e mi versa un bicchiere di freisa. Si chiama Renato, ma tutti lo chiamano El Rato Blanco, Il Topo Bianco, per quel suo aspetto magro e segaligno, il naso adunco e soprattutto perché è biondo, di un biondo che non si è mai visto da queste parti, un biondo che si vede solo in televisione.

Il locale era un tempo il bar della Casa del Popolo, che fronteggiava atea e orgogliosa la chiesa e l’oratorio con il suo campetto di calcio, sull’altro lato della piazza. C’è anche un piccolo teatro, mi dice il Rato Blanco, dove la cittadinanza si riunisce per deliberare le questioni importanti. Mi porta a vederlo: i muri ormai scrostati testimoniano un’antica eleganza. Sulla parete di sinistra ci sono tre rosoni dai colori vivaci che rappresentano, nell’ordine, Giuseppe Garibaldi, Antonio Gramsci ed Egisto Cagnoni (ma chi sarà Egisto Cagnoni? Non ho il coraggio di chiederlo, per paura di rivelare la mia ignoranza su un personaggio certamente importante da queste parti).

-        Ho visto un fiume arrivando qui – dico – come si chiama?

-        È l’Agogna, la nostra piscina comunale.

-        Ma il barbiere ha clienti?

-        In realtà l’Ernesto ha un negozio di ferramenta a Mortara e qui tiene aperto solo il sabato, per passione: dice che gli piace mettere a posto la testa della gente, che ce n’è tanto bisogno. – mi risponde Renato ridendo.


Di fianco al sagrato della chiesa c’è la vecchia scuola elementare, ormai chiusa e in abbandono. Non ci sono abbastanza bambini, e quei pochi vanno a scuola a Mortara con il pullmino.

-        Ma ce l’avete qua un sindaco?

-        Certo che ce l’abbiamo il sindaco: l’Oreste. Di mestiere fa il campè, regola le chiuse dei canali di irrigazione delle risaie e tiene in ordine gli argini. Certe volte presiede la giunta con ancora su gli stivali, perché la terra è esigente, pretende attenzione, vuole essere accudita.

All’orizzonte sulla statale vedo sfrecciare i tir, tartari che dal deserto non arriveranno mai. Rato Blanco, il nostro tenente Drogo, vigila su questa fortezza Bastiani.

Alzo gli occhi e vedo una targa: “Via Egisto CAGNONI – Conquistò le otto ore alle risaiole”. Ah, ecco chi è!

- Dove si può mangiare? – chiedo.

- Deve andare a Mortara, qui non abbiamo ristoranti, qui non viene mai nessuno.

Due bambini (gli unici?) attraversano correndo e strillando la piazza, la vecchietta con la mano fa loro il gesto degli scapaccioni, sorridendo. Vedo mio padre bambino, con i pantaloni corti, scarmigliato e sudato, sporco di erba e di terra e con le ginocchia sbucciate, in mano una fionda e gli occhi ardenti e furbi di chi l’ha fatta grossa.

Squilla il cellulare: è mia moglie.

-        Ciao, dove sei?

-        Dove sono? Sono “altrove”.



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