Smarrito
Smarrito
Prima o poi doveva succedere.
Dopo quasi trent’anni di Mestre -
Conegliano, questa sera ho sbagliato treno.
Arrivo trafelato alla stazione di
Mestre, il mio treno è annunciato con quindici minuti di ritardo; mi precipito
al binario, il display indica chiaramente Conegliano - 17.17. Il treno arriva, le porte si aprono,
con un balzo sono sopra, e subito capisco di essere caduto nel tranello: sono
salito sul famigerato Portogruaro delle 17.38.
È questo un treno subdolo, malevolo, che si insinua con l’inganno
sui binari normalmente riservati alla mia linea, con orari di poco diversi. Usa
mezzi disgustosi per ingannarti, ha luci brillanti, più posti liberi, con gli
ultimi vagoni sculetta come una danzatrice di milonga. Molti pendolari, uomini
distinti e seri, sono caduti nelle sue lusinghe e si sono trovati scaraventati
in stazioni sconosciute e ostili: oggi è toccato a me.
Il treno locale di una linea non
tua lo riconosci subito: dentro c’è un altro odore, altri colori. La colonna
sonora del brusio di fondo parla altri dialetti, senti altre cadenze e,
soprattutto, altre sono le facce. Ti senti subito straniero, il clan dei
portogruaresi ti vede, ti annusa, ti pesa e ti respinge. Le porte si sono
immediatamente chiuse dietro di te e, improvvisamente, nonostante ci siano
molti posti liberi, non sai dove sederti. All’inizio, per orgoglio, non ammetti
l’errore: vedi sfilare fuori dal finestrino paesaggi e manufatti sconosciuti,
ma non vuoi fartene una ragione: quell’hotel con l’insegna rossa l’avranno inaugurato
oggi, quel canale su cui stiamo passando si sarà formato a causa delle recenti
piogge.
Poi, il colpo di grazia: quella
gran puttana del Venezia – Portogruaro si ferma alla prima stazione con un
sospiro da post-amplesso e tu leggi: CARPENEDO. Dove sono? Cos’è Carpenedo? Ne
ho sentito alle volte parlare dai colleghi (alcuni penso addirittura ci
abitino), ma l’ho sempre inserito in quel magma indistinto che è, per me della
Sinistra Piave, la terraferma veneziana, fatta di nomi fantastici e indistinti:
Campalto, Zelarino, Favaro, Asseggiano, Boh?
Con un’imprecazione mi catapulto
giù dal treno ed entro a capofitto nella nebbia di Carpenedo.
Il primo impulso è di fuggire da
lì, di prendere il primo treno che mi riporti a Mestre, come i guerrieri della
notte che dovevano rientrare nella loro fetta di New York in quel vecchio film.
In giro poche facce, ghigni che
appaiono e scompaiono nella nebbia.” Sicuramente delinquenti” – penso.
Entro in stazione: è naturalmente
impresenziata. Ad accogliermi solo il ronzio freddo dei neon da sala anatomica.
Telefono a casa per spiegare la
situazione, sono imbarazzato come se fossi stato colto da incontinenza senile:
ma qui il cellulare prenderà, o dovrò contrattare un roaming con un qualche raìs
locale? Naturalmente il telefonino funziona benissimo, ma ancora non mi fido.
Ora, devo cercare di tornare il
più velocemente possibile indietro. Lo scarno orario appeso al muro mi dice che
il primo treno per Mestre è tra quasi un’ora: il biglietto? Una di quelle
infernali macchinette distributrici automatiche mi attende sorniona: mi
avvicino ed entro irreparabilmente nell’oscuro tunnel di un display a menù:
premo decine di pulsanti: la macchina mi chiede se voglio andare a Termini
Imerese o a Campione d’Italia, se sono studente, pensionato, ferroviere, classe
protetta, panda, extracomunitario, con cartargentamicotreno/greencard/abbonamentosettimanale/mensile/annuale/primaosecondaclasse,
se voglio pagare in contanti/pos/pagobancomat/cartasi/american/postel/bot/cct/futurenonoil/noneuroareacurrency/cessionedelquinto:
ma perdio, voglio solo tornare a Mestre: quattro chilometri e due banchi di
nebbia più in là!
Finalmente, la macchinetta sputa
con una leggera pernacchia il mio biglietto, e sul display appare un ipocrita:
Grazie / Thank you.
C’è ancora molto da attendere;
affronto coraggiosamente la nebbia e vicoli oscuri ed entro in un bar: al mio
apparire tutti zittiscono e guardano lo straniero: ordino una bistecca alta tre
dita e una montagna di patine fritte, consumo, pago ed esco.
Torno al binario: una ragazza
bionda parla fitto fitto al telefonino con il fidanzato (ma allora ci si innamora
anche qui?).
Dopo lunghi, interminabili minuti
emerge tra i fumi della nebbia il Moloch – treno di ritorno. Ci salgo
velocemente, senza guardarmi attorno, con gli occhi bassi.
Dopo poco, arriviamo. Le luci
smorte della stazione di Mestre mi accolgono come Las Vegas. Guardo l’orologio:
se corro faccio in tempo a prendere il 19.07.
Raggiungo velocemente il mio
binario, e di lì a poco arriva il buon vecchio Venezia-Udine, che mi si
accovaccia al fianco, scodinzolante come un Sanbernardo.
Varco la soglia del
vagone-placenta e mi rannicchio su un sedile, immergendomi, rasserenato, nel liquido
amniotico delle mie noiose consuetudini.
Per favore, quando scrivi un commento, se puoi lascia il tuo nome o anche un nickname. Grazie
Sembra tu abbia vissuto un incubo ...da vero pendolare!
RispondiEliminaPraticamente un thriller !!!!
RispondiEliminaCarpenedo deriva da carpnetum...(una volta) E Favaro è la perla della terraferma,mio luogo d'infanzia 😉. Un postaccio!
RispondiEliminaChe bello! Ho provato anch'io emozioni simili sbagliando treno, ma anche, in scala minore, dimenticando di scendere dall'autobus alla fermata giusta. Bravo Roberto.
RispondiEliminaHa risvegliatato tanti ricordi del mio pendolarismo. Bel racconto!
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