Frate Fulgenzio e la rana

 





Frate Fulgenzio e la rana (Parabola)


Frate Fulgenzio, creatura di Dio, uomo semplice e buono, anche quel giorno, come tutti i giorni che il buon Dio manda in Terra, se ne uscì di buon mattino dal convento per pregare, meditare e cantare le lodi del Signore.

La primavera era appena arrivata e la natura si stava risvegliando.

Il buon frate guardava i primi fiori sbucati sui prati e in cuor suo pensava:

-        O fiorellini, anche voi, con i colori e il profumo, sapete cantare a vostro modo la grandezza del Signore: siate benedetti.

E osservando gli uccelli volare e posarsi sui rami degli alberi:

-      O uccellini, col vostro garrulo canto e i vostri allegri voli testimoniate la bontà del Signore: siate benedetti.

Guardava le nuvole bianche in cielo e pensava:

-        O nuvole, con il vostro rincorrervi spinte dal vento fate elevare al cielo gli occhi degli uomini e li fate avvicinare a Dio: siate benedette.

E così, benedicendo ora lo stormire maestoso delle foglie degli alberi ora il gorgogliare argentino del ruscello, giunse con animo lieto al piccolo stagno che si trovava non lontano dal convento.

Qui era tutto un gracidare di rane. Fulgenzio sorrise e pensò:

-        Anche voi piccole rane, con il vostro canto per quanto sgraziato sapete cantare le lodi del             Signore: siate benedette.

Ma mentre si apprestava come sempre a iniziare le sue preghiere, vide sul bordo dello stagno una piccola rana dagli occhi tristi, muta.

Sorpreso, si chinò verso l’animaletto e, con tutto il candore del suo animo semplice, mormorò:

-        O piccola rana dagli occhi tristi, perché non ti unisci al canto delle tue sorelle?

Al ché, con sua grande sorpresa, la rana rispose:

-        Perché io in realtà non sono una rana, ma una fanciulla ridotta in questo stato dal maleficio di un mago malvagio, e solo la preghiera di un uomo buono, giusto e pio potrà riportarmi al mio stato primigenio.

Turbato da queste parole, Fulgenzio si inginocchiò sul bordo dello stagno e cominciò a pregare. Venne il tramonto che nemmeno se ne accorse e, a quel punto, prese la raganella tra le sue grosse mani callose e la portò con sé al convento. Si chiuse subito nella sua cella senza nemmeno cenare e lì, inginocchiato sul suo ruvido scranno riprese a pregare, tenendo la piccola rana tra le mani.

Venne la notte e il mattino successivo: il buon frate non sentiva né fame né sete, né freddo né sonno, sentiva solo l’urgenza e la necessità della sua preghiera e così non si fermò per tre giorni e tre notti.

E incredibilmente, quando sorse l’alba del quarto giorno, Fulgenzio si ritrovò tra le mani non più una piccola rana dagli occhi tristi ma una splendida fanciulla dai lunghi capelli biondi e dai grandi occhi azzurri.

E questa, Vostro Onore, è la tesi della difesa.












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Commenti

  1. Non male! Non so chi sia Marti, ma da fare nella vita ne aggiungere almeno un altro paio...

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  2. Bello il finale a sorpresa, molto divertente! UC

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