Riti di passaggio
Riti
di passaggio
Era giunto il
momento.
La mia carta
d’identità stava per scadere e avrei dovuto rinnovarla. Dovevo prepararmi ad
affrontare la relativa noiosa procedura: le fotografie nuove, con i “sorrida,
prego… non troppo però, sia più naturale!” e il solito medesimo risultato:
un Moai dell’Isola di Pasqua colto da paresi.
E poi prenotare
l’appuntamento in Comune, organizzare la giornata, pianificare il periodo in
cui sarei rimasto senza documento, ecc. ecc.
Inoltre, avrei
dovuto sostituire il mio vecchio documento cartaceo con la nuova carta
elettronica, depositaria di mirabolanti e irrinunciabili servizi digitali che,
già lo sapevo, non avrei mai compreso né tantomeno utilizzato.
Mi dispiaceva
restituire quel vecchio documento sdrucito, compagno di tanti viaggi, concubino
di tanti letti d’albergo, garante integerrimo di noleggi di biciclette, auto,
motorini e quant’altro: lui e la patente sono sempre stati i miei fedeli
scudieri, sempre pronti a difendermi dalla diffidenza e dalla occhiuta curiosità
dei tutori dell’ordine, degli impiegati delle Poste, dei funzionari delle banche
e delle assicurazioni, e di tutti quelli che, a ragione o millantando, ritengono
di rappresentare un’autorità.
Ero tentato di
tenermela, la mia carta d’identità, fingendo di averla smarrita, ma le pratiche
di denuncia di smarrimento erano troppo complicate e lasciai perdere.
Così, con una
sobria ma sentita cerimonia, procedetti alla scansione del documento, salutai
quel giovanotto in fotografia che mi guardava col sorriso di un Moai, e tumulai
il file in una recondita e ben nascosta cartella del mio computer: requiescat
in pace.
E finalmente venne
il giorno in cui dovetti recarmi al Comune: avevo le mie foto tessera nuove di
zecca, le marche da bollo di ogni importo, foggia, colore e dimensione, il
codice fiscale mandato a memoria perché non si sa mai…
Nell’atrio
dell’Ufficio anagrafe ero emozionato come uno scolaro al primo giorno di
scuola: una nuova identità sarebbe stata foriera di una nuova e più avvincente
vita?
La funzionaria
dietro il vetro dello sportello manifestava una cortesia fredda che mi mise
subito a disagio. In fondo, si apriva per me una nuova fase della mia
esistenza: in po’ d’empatia, perbacco!
La donna con la
testa china sui documenti snocciolava monotonamente le domande di rito alle
quali rispondevo con monosillabi reticenti, come da bambino in chiesa col confessore:
comunicai controvoglia la mia non strepitosa statura, facendo la cresta di un
centimetro, subii l’umiliazione della presa delle impronte digitali e rimasi in
attesa degli sviluppi.
All’improvviso la
donna alzò di scatto la testa, e cominciò a scrutarmi con sguardo inquisitorio.
Il momento tanto temuto era arrivato…
Nella carta
d’identità in scadenza c’era scritto, con molta generosità: capelli: neri;
occhi: verdi. La qual cosa, se uno avesse bonariamente sorvolato sulla foto che
riportava brutalmente alla realtà dei fatti, faceva molto Riccardo Scamarcio.
La donna mi fissò
con lo sguardo di Gloria Swanson ne “Il viale del tramonto” e finalmente
sentenziò perentoriamente: capelli: grigi; occhi: castani.
La guardai
smarrito, il mondo mi stava crollando addosso: ma come, possibile che in soli
dieci anni il tempo avesse lavorato così alacremente e impietosamente?
Possibile che quel Mosai dai riccioli neri e lo sguardo vispo si fosse
trasformato in un vecchio anonimo e grigio? Signora, nessuna pietà, nessuna indulgenza,
nessuno sconto per un pover’uomo appena entrato nella terza età?
Balbettai un
ringraziamento, ritirai la mia ricevuta e mi avviai lentamente verso l’uscita,
curvo su me stesso.
Fuori il mondo era
pieno di ragazzi giovani e belli pronti ad affrontare la vita mentre io, ormai
vecchio e cadente, mi avviavo verso il mio tramonto con passi incerti e
tremanti, incespicando nelle mie stesse scarpe. In un attimo ero invecchiato di
un’era geologica: pazienza gli occhi non più verdi, ma quei capelli grigi…
almeno poteva dire brizzolati!
I miei occhiali di
foggia moderna si erano trasformati in vetusti pince-nez da vecchio barbogio,
mentre tabarro e galosce mi riparavano dal freddo anche se era quasi estate.
Ero talmente curvo su me stesso da poter vedere solo il pavimento davanti a me,
mentre un tremore senile mi attraversava tutto il corpo.
Mentre tentavo con le mie poche forze rimaste di arrivare presto a casa per prepararmi un brodo caldo e accomodarmi sulla mia poltrona con un plaid a scacchi sulle ginocchia, mi si avvicinò un giovanissimo e gentilissimo boy-scout chiedendomi sorridente di aiutarmi ad attraversare la strada. Lo guardai furente e lo cacciai minacciandolo col mio bastone da passeggio col pomo d’argento.
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Eh, dai Roberto su col morale! E ringrazia che sei riuscito ad avere l'appuntamento per rinnovarla
RispondiEliminaGrande Roberto. Ti ricordi il fascino dell'uomo "sbriciolato"?
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