Paride Tumburus

 



Paride Tumburus

 

Quando Paride Tumburus fece capolino dalla bustina di figurine Panini acquistata con le dieci lire che mi aveva dato mio padre rimasi folgorato.

Quel profilo duro da guerriero azteco, quei denti sporgenti da castoro pronti ad azzannare i garretti degli avversari, quella maglia del Bologna, di un rossoblù così diverso dalle solite righe di Juve, Inter, Milan …, quel nome miscuglio di eroe troiano e dio vichingo (quale bambino non avrebbe voluto chiamarsi “Paride Tumburus”?) che evocava tamburi di guerra e soldati schierati sotto il garrire dei loro vessilli, mi fecero capire che finalmente avevo trovato il mio eroe tra i giocatori del Campionato di calcio 1965-1966.

Presto Paride divenne la star dei miei personalissimi campionati.

Il tappeto in paglia di cocco del salotto diventava il campo di calcio, facilmente delimitabile grazie al suo disegno a scacchiera; quattro ciabatte ai bordi a delimitare i pali delle porte, un bottone di bachelite rubato a mia madre come pallone. Dal divano la curva degli ultrà intonava i suoi inni e faceva sventolare le sue insegne.

Le figurine dei calciatori venivano schierate una di fronte all’altra in un 2 -3 - 5 che non ammetteva deroghe, gli allenatori predisponevano sempre la stessa asfissiante marcatura a uomo.

Al mio fischio d’inizio la partita cominciava. Io ero l’arbitro e l’artefice del gioco: non c’erano genitori che mi dicessero cosa fare, non c’erano ragazzini più grandi che mi vessassero: ero finalmente solo io, arbitro in terra del bene e del male.

Manovravo le figurine all’inseguimento del bottone e le facevo scontrare in tackle durissimi. Se nella concitazione del gioco una figurina si rovesciava, ecco che decretavo il fallo, e la partita riprendeva.

A differenza del campionato reale, il mio non si svolgeva in un girone all’italiana ma attraverso partite a eliminazione diretta fino alla finale, tanto attesa quanto prevista, dato che vi giungeva sempre, chissà perché, la mia squadra del cuore.

E così fu per molto tempo finché non irruppe nel tappeto a scacchi delle mie partite Paride Tumburus.

Nella realtà Paride era un discreto mediano con vocazioni difensive, ma io lo facevo giocare da punta pura. Mi sostituivo slealmente all’allenatore del Bologna e incitavo il giocatore ad attaccare e a tirare in porta, sempre e comunque.

Il suo arrivo scombinò tutti gli schemi e le tattiche di gioco che credevo ormai consolidate: il rigido 2 – 3 - 5 si trasformava spesso in un più ortodosso WM o in un più sbarazzino 4 – 3 – 2- 1, dove l’1 davanti a tutti era lui: Paride.

Così il nostro si faceva protagonista di epiche sgroppate da una parte all’altra del campo, partendo dal mobile del televisore e rasentando il tavolino posto al centro della stanza, dribblando e mettendo a sedere gli avversari che da terra lo guardavano sconsolati mentre si involava verso la loro porta presidiata da un preoccupatissimo e ormai rassegnato portiere.

A ogni spettacolare gol di Paride i tifosi assiepati sul divano si esibivano, impazziti,  in un boato assordante che sentivo solo io e che faceva scuotere la testa ai miei genitori che mi osservavano basiti, anche perché oltre che l’arbitro facevo anche il radiocronista e parlottavo sommessamente ma con grande concitazione per tutto il tempo della partita, imitando i grandi commentatori di “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Da allora in finale arrivarono sempre il Bologna e la mia squadra del cuore, e ogni volta cercavo di manovrare le figurine nel modo più equidistante possibile, anche se quando afferravo il guerriero azteco rossoblù la mia mano scalpitava e faticavo a tenerlo a freno e a farlo giocare in modo corretto: fu capocannoniere incontrastato di tutti i miei campionati.

Nella realtà Tumburus venne ceduto dal Bologna al Vicenza. Qualche tempo dopo il suo cartellino fu deciso alle buste tra il Vicenza e il Rovereto: il Vicenza offrì 175 lire, il Rovereto 25, un prezzo compreso tra quello di un litro di benzina e quello di un quotidiano: Paride non lo voleva più nessuno. La valutazione offensiva e l’insensibilità nei confronti della dignità del calciatore fece sì che l'offerta minima per la risoluzione delle comproprietà venisse fissata successivamente dalla FIGC in centomila lire.

Tumburus finì la sua carriera nelle serie minori e morì nel 2015, ormai dimenticato da tutti, ma la sua figurina ancora sgroppa nel mio personalissimo stadio-tappeto tra due ali di folla in delirio e ancora calcia con una potenza sovrumana il bottone di bachelite, insaccandolo alle spalle di un portiere esterrefatto, prima di rientrare, vincente, sudata e sorridente negli spogliatoi di un cassetto ben chiuso della mia infanzia.





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